I CONTRATTI DI LAVORO
Testo aggiornato alle modifiche apportate dal Decreto legge 12 luglio 2018, n. 87 ("Decreto dignità")
Nelle schede seguenti, si riportano alcuni elementi dei principali contratti di lavoro. Un quadro più dettagliato è reperibile nel sito Cliclavoro (www.cliclavoro.gov.it) alla voce “Norme e Contratti”, oppure nel sito del Ministero del Lavoro alla pagina “Disciplina del rapporto di lavoro”.
IL CONTRATTO DI LAVORO A TEMPO INDETERMINATO
Il contratto di lavoro a tempo indeterminato costituisce nel nostro ordinamento giuridico la forma comune di rapporto di lavoro: non ha una scadenza prefissata, come avviene per il contratto a tempo determinato, e può essere interrotto di norma solo per decisione aziendale (crisi economica o motivi disciplinari), o per volontà del lavoratore (dimissioni o pensionamento).
Il dipendente che ritiene illegittimo il licenziamento, lo può impugnare, rivolgendosi a un legale, direttamente o per il tramite delle organizzazioni sindacali: la causa che ne deriva, a seguito delle modifiche apportate dal Jobs Act, è soggetta a due differenti sistemi di gestione, a seconda che il contratto sia stato stipulato prima o dopo il 7 marzo 2015.
Per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015, restano in vigore le disposizioni dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori: se il licenziamento viene giudicato nullo o inefficace, il lavoratore ha diritto a essere reintegrato nel posto di lavoro, con il recupero di tutta la retribuzione maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettivo rientro in azienda.
Alle persone assunte o inquadrate a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015, si applica il cosiddetto contratto di lavoro “a tutele crescenti”, in base al quale non è più previsto il reintegro nel posto di lavoro, se non in casi specifici e particolari; se il datore di lavoro è riconosciuto colpevole, è tenuto soltanto al pagamento di un risarcimento, il cui importo è rapportato all’anzianità di servizio del dipendente, in misura “crescente”, quindi, rispetto alla durata del periodo di lavoro a tempo indeterminato maturato in azienda.
IL CONTRATTO DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO
Si tratta di un contratto di lavoro che termina ad una scadenza predefinita, salvo proroga o modifica concordata del termine inizialmente fissato.
Con l’eccezione dei rapporti di lavoro di durata non superiore a dodici giorni, l’apposizione del termine del contratto è priva di effetto se non risulta da atto scritto, una copia del quale deve essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore entro 5 giorni lavorativi dall’inizio della prestazione.
Per capire meglio le disposizioni successive è opportuno chiarire il significato che assumono i termini proroga e rinnovo:
per proroga si intende la prosecuzione di un rapporto a tempo determinato arrivato a scadenza senza soluzione di continuità, posticipando a una data successiva il termine del contratto iniziale (ad esempio, se un contratto che scade il 30 gennaio viene prorogato per tre mesi, la sua scadenza si sposta al 30 aprile e il dipendente lavora continuativamente sino a tale data);
per rinnovo si intende la riassunzione del lavoratore quando il contratto a termine precedente non è stato prorogato alla scadenza, dopo un’interruzione che deve essere superiore a 10 giorni se il rapporto di lavoro precedente ha avuto una durata fino a sei mesi, e a 20 giorni se la durata è stata superiore. Se il periodo di non lavoro tra un contratto e l’altro ha una durata inferiore, il rapporto diventa a tempo indeterminato, salvo che non si tratti di un lavoro di tipo stagionale.
Tali specifiche valgono però solo nei casi in cui i contratti prorogati o rinnovati si riferiscano a mansioni di pari livello e categoria legale (lo stesso inquadramento nell’ambito delle figure di dirigenti, quadri, impiegati, operai e apprendisti), diversamente i contratti vanno considerati distintamente. Se, ad esempio, un dipendente assunto come operaio viene ripreso al lavoro in qualità di impiegato, o sempre come operaio, ma con un livello contrattuale più alto di quello prima attribuito, il contratto successivo non si configura come rinnovo e non fa cumulo con il precedente, ma si riparte da zero nel conteggio della durata.
Detto ciò, possiamo precisare i vincoli previsti dalla normativa per un rapporto a tempo determinato:
la sua durata iniziale non può superare i 12 mesi:
tale durata può essere portata da 12 a un massimo di 24 mesi attraverso delle proroghe, che devono essere obbligatoriamente giustificate da almeno una delle seguenti causali:
esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze sostitutive di altri lavoratori;
esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria.
In altre parole, il contratto può essere prorogato:
liberamente nei primi 12 mesi;
solo in presenza di una delle due causali anzidette successivamente ai 12 mesi;
le proroghe, tuttavia, possono essere al massimo 4 nell’arco di 24 mesi, a prescindere dal numero di rinnovi: il contratto si considera a tempo indeterminato dalla data di decorrenza della quinta proroga.
In caso di rinnovo del contratto, invece, la causale va sempre indicata anche se il rapporto precedente ha avuto una durata inferiore a 12 mesi, salvo che non si tratti di un lavoro di tipo stagionale.
Se il contratto supera i 12 mesi senza che venga dichiarata alcuna causale, o viene rinnovato sempre in assenza di causali, si considera trasformato a tempo indeterminato dalla data di superamento del termine di 12 mesi o dalla data di rinnovo. Nel conteggio della durata rientrano anche le missioni di lavoro interinale, purché svolte presso la medesima ditta per mansioni di livello e categoria legale uguali a quelle del rapporto a tempo determinato standard; non vi rientrano invece altre forme di lavoro a termine, come il lavoro intermittente, le prestazioni occasionali o i vecchi voucher, né inserimenti a tempo indeterminato o con contratto di apprendistato, anche se risolti prematuramente.
Tali disposizioni si applicano ai contratti a tempo determinato stipulati dopo la data di entrata in vigore del Decreto Legge n. 87/2018 (14 luglio 2018), e ai rinnovi o alle proroghe di contratti stipulati prima di tale data decorrenti a partire dal 1° novembre 2018. Le regole precedenti fissavano come limiti massimi 36 mesi e 5 proroghe e non prevedevano causali.
Questi vincoli, peraltro, possono essere derogati dai Contratti Collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o da loro rappresentanti, che possono liberamente fissare differenti termini o condizioni, in relazione alla specificità del lavoro prestato. Raggiunto il limite di 24 mesi è inoltre ancora possibile stipulare un ulteriore contratto, sempre a fronte di una delle due causali sopra citate, della durata massima di 12 mesi, purché venga convalidato dalla Direzione Territoriale del Lavoro competente (l’ufficio decentrato del Ministero del Lavoro).
Si consideri che la trasformazione del contratto da determinato ad indeterminato nei casi prima richiamati non è automatica, ma può essere imposta a seguito di verifica ispettiva dall’Ispettorato del Lavoro, a cui i lavoratori possono segnalare situazioni anomale o irregolari, o si può realizzare in presenza di un ricorso del lavoratore, da presentare entro 180 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro.
Se le parti decidono di far proseguire il contratto oltre la scadenza prevista (sempre nei limiti di durata prima citati), il datore di lavoro è tenuto a maggiorare la retribuzione del 20% nei primi 10 giorni e del 40% nel periodo successivo. Qualora il rapporto di lavoro continui oltre il 30° giorno in caso di contratto di durata inferiore a 6 mesi, ovvero oltre il 50° giorno negli altri casi, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini.
Il lavoratore a tempo determinato può essere licenziato prima della scadenza fissata qualora sussista una giusta causa, ossia qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto, o in caso di cessazione dell’attività aziendale. In caso di licenziamento anticipato al di fuori di tali motivazioni il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno, pari alla retribuzione che gli sarebbe spettata se il rapporto di lavoro fosse proseguito fino al termine previsto.
LA SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO
Con il contratto di somministrazione (detto anche di lavoro interinale) un'agenzia per il lavoro autorizzata mette a disposizione di un’impresa che ne fa richiesta uno o più suoi dipendenti, che per tutta la durata della missione (come viene definita questa prestazione di lavoro) svolgono la propria attività sotto la direzione e il controllo di detta azienda. Lo stipendio, con tutti gli oneri connessi, viene erogato al lavoratore dall’agenzia di somministrazione, che si rivale sull’azienda utilizzatrice. I dipendenti somministrati hanno diritto a condizioni economiche e normative complessivamente non inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello dell’impresa utilizzatrice.
Tale contratto particolare può essere a tempo indeterminato o determinato.
Il lavoratore assunto a tempo indeterminato dall’agenzia ha diritto a percepire un’indennità di disponibilità nei periodi in cui rimane in attesa di essere inviato in missione. Il numero di somministrati a tempo determinato impiegati dall’azienda utilizzatrice non può superare la quota del 30% dei suoi dipendenti con un contratto stabile, ma è esente da limiti quantitativi l’impiego di percettori di NASpI da oltre 6 mesi o di soggetti ricadenti nella categoria di lavoratori svantaggiati, fra cui le persone che negli ultimi sei mesi hanno prestato attività lavorativa alle dipendenze della durata di almeno sei mesi, i giovani fino a 24 anni, gli ultracinquantenni, chi non ha un titolo di studio superiore all’obbligo.
Viene esteso anche alla somministrazione la disposizione introdotta per i contratti standard a tempo determinato, l’obbligo di giustificare le missioni che a seguito di proroghe superano i 12 mesi, o soggette a rinnovo, in base a una delle due seguenti specifiche:
esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze sostitutive di altri lavoratori;
esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria.
La dichiarazione di tali causali è però ad esclusivo carico dell’agenzia utilizzatrice.
E’ esclusa la somministrazione a tempo indeterminato presso una pubblica amministrazione. I contratti collettivi di lavoro possono comunque derogare da questi vincoli, stabilendo condizioni diverse da quelle previste dalla normativa standard.
La somministrazione di lavoro non è consentita, in linea generale, per sostituire lavoratori in sciopero, per posti di lavoro soppressi negli ultimi sei mesi a seguito di licenziamento collettivo o in unità aziendali soggette a procedure di CIG.
IL LAVORO A CHIAMATA O INTERMITTENTE
Il lavoro intermittente (o a chiamata) è un rapporto mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che lo può impiegare in modo discontinuo o intermittente, secondo modalità definite nel contratto, che deve avere forma scritta e contenere tutte le informazioni utili a individuare le caratteristiche della prestazione lavorativa richiesta.
Questa specifica forma contrattuale può essere a tempo determinato o indeterminato. Il lavoratore intermittente viene retribuito solo nei periodi in cui viene chiamato al lavoro, salvo che abbia garantito la propria disponibilità a rispondere alle chiamate, nel qual caso gli spetta un'indennità di disponibilità, il cui importo è determinato dai contratti collettivi. L’indennità non spetta nei periodi di malattia comunicati dal lavoratore.
La normativa prevede che un contratto di lavoro intermittente possa essere comunque stipulato per giovani fino a 24 anni di età o per adulti a partire dai 55 anni. Al di fuori di questi ambiti anagrafici, valgono le disposizioni stabilite nei contratti collettivi di lavoro per i vari settori di attività.
Il lavoro intermittente può essere utilizzato senza vincoli temporali nel ramo turismo, pubblici esercizi e spettacolo, che rappresentano gli ambiti di attività dove la frammentazione delle esperienze lavorative assume un rilievo strutturale; negli altri settori non è consentito impiegare un lavoratore intermittente oltre il limite delle 400 giornate di lavoro effettivo nell’arco di tre anni, pena la trasformazione del contratto in un rapporto a tempo pieno e indeterminato.
LE PRESTAZIONI OCCASIONALI
Le prestazioni occasionali, nella loro strutturazione attuale, nascono per supplire al vuoto normativo creato dall’abrogazione del lavoro accessorio, a voucher, avvenuta a marzo 2017. Questa nuova forma di lavoro flessibile, introdotta dal Decreto Legge n. 50 del 24 aprile 2017, presenta due modalità attuative, a cui si accede previa registrazione sia del datore di lavoro che della persona interessata presso la piattaforma informatica INPS dedicata:
le prestazioni erogate a favore di famiglie e società sportive, gestite per il tramite del Libretto Famiglia;
il Contratto di Prestazione Occasionale propriamente detto, rivolto agli altri datori di lavoro, con limiti di accesso ben definiti.
Il Libretto Famiglia, acquistabile dalla piattaforma INPS o presso gli uffici postali, contiene titoli di pagamento dal valore nominale di 10 Euro l’ora (2 Euro per oneri vari e 8 Euro quale retribuzione netta), utilizzabili per compensare prestazioni relative a piccoli lavori domestici, assistenza domiciliare e ripetizioni scolastiche.
Il Contratto di Prestazione Occasionale è riservato alle piccole imprese con non più di 5 dipendenti a tempo indeterminato (salvo che per le strutture alberghiere o ricettive, per le quali la soglia sale a 8 unità, purché assumano pensionati, giovani fino a 24 anni, o disoccupati registrati presso un Centro per l’Impiego), a liberi professionisti, lavoratori autonomi, associazioni … Non è utilizzabile dalle imprese edili e affini, né nell’ambito dell’esecuzione di appalti, e può essere impiegato solo entro certi limiti dalla pubblica amministrazione e dalle aziende agricole. Assicura al lavoratore un compenso netto di 9 Euro l’ora, oltre agli oneri connessi; il compenso giornaliero netto non può essere inferiore a 36 Euro, anche se la prestazione è durata meno di 4 ore continuative; per le imprese agricole il compenso netto è quello fissato dal Contratto Collettivo di riferimento e le 4 ore si intendono non quotidiane, ma relative ad un periodo non superiore a 10 giorni.
Per entrambe le tipologie i compensi sono esenti da imposizione fiscale e sono erogati materialmente dall’INPS, sulla base delle informazioni che il datore deve fornire, il 15 del mese successivo a quello di riferimento. Il lavoratore ha però titolo di richiedere, all’atto della registrazione alla piattaforma informatica citata, di ritirare il compenso presso un qualsiasi ufficio postale, decorsi 15 giorni dalla notifica della prestazione, presentando il mandato di pagamento emesso dal sistema INPS.
La normativa stabilisce dei limiti all’utilizzo delle prestazioni occasionali:
i lavoratori non possono percepire più di 5.000 Euro annui, cumulando tutte le attività svolte, ma con un massimo di 2.500 Euro per singolo datore di lavoro;
i datori di lavoro non possono superare i 5.000 Euro annui, ma si contano solo per il 75% del loro valore i compensi per pensionati, studenti fino a 24 anni e disoccupati registrati presso un Centro per l’Impiego; non è loro consentito, inoltre, acquisire prestazioni da lavoratori con cui abbiano in corso, o abbiano avuto nei sei mesi precedenti, rapporti di lavoro subordinato o parasubordinato
LE COLLABORAZIONI COORDINATE E CONTINUATIVE (CO.CO.CO.)
Le collaborazioni sono prestazioni di carattere parasubordinato, cioè di tipo autonomo, ma con alcuni elementi del lavoro subordinato, svolte in base a un contratto con un committente, in cui si definiscono le attività da svolgere e i tempi di realizzazione dell’incarico.
Le co.co.co., regolate dalle disposizioni contenute all’art. 409 del Codice di Procedura Civile, sono caratterizzate dal fatto che la prestazione richiesta è continuativa, quindi non occasionale, ed è organizzata e condotta autonomamente e personalmente dal lavoratore interessato, che si coordina con il committente solo per definire obiettivi e tempi di attuazione dell’incarico ricevuto.
Questo intervento restrittivo non trova applicazione solo nel caso delle collaborazioni prestate da liberi professionisti legati ad un albo professionale, di quelle rese a favore di società e associazioni sportive o svolte nell’ambito di organi di amministrazione e di controllo societario, e di quelle individuate dai contratti collettivi nazionali (è il caso dei call center, ad esempio).